Film: “The Prestige” di Christopher Nolan basato sul romanzo di Christopher Priest.
Personaggio: Robert Angier, frustrato illusionista e meraviglioso intrattenitore.
Interprete: Hugh Jackman.
Scena: confronto finale tra Alfred Borden e Robert Angier.
Qual è l’uomo che interessa?
Illusionisti … gente di spettacolo, uomini che vivono camuffando semplici e talvolta brutali verità per strabiliare e per incantare.
«Io ho fatto dei sacrifici!» dice Robert. Certo, ha cambiato nome, ha chiuso il sipario sul passato, ma non ha mai fatto i sacrifici di cui parla Alfred. Non ha mai dato prova di assoluta abnegazione nei confronti della sua arte, tanto che ammette “non mi ci vedo a vivere una vita fingendo di essere un altro”. Così – a differenza di Alfred – non lo vediamo come un genio puro che vive solo per ciò che gli da vita, ma come un anfibio che non può respirare troppo a lungo l’aria del palcoscenico: ha un bisogno fisiologico di separare il Robert Angier del mondo reale e il “Grande Danton” del mondo creato dalle sue illusioni.
In compenso è proprio grazie a questa dicotomia che rispetto ad Alfred appare più umano, quasi troppo umano. La sua ostinata riluttanza a uccidere le colombe è un indice di quanto senta il peso di un’umanità che deve per forza sporcarsi le mani per raggiungere l’impossibile, l’illusione della vera magia. Il Grande Danton forse non è un grande illusionista come Alfred, ma è senza dubbio un grande uomo di scena:
Sa camuffare un numero, sa come venderlo, sa come cullare il pubblico sul palmo della mano. È per questo che – quando ruba il “trasporto umano” al suo rivale – la sua voce corre più velocemente e le recensioni arrivano ad acclamarlo come il principale artista di Londra: artista in senso generale, che con l’anticipazione del numero riesce a far crescere la suspense e ad amplificare di conseguenza l’ovazione della platea. Ovazione che però è costretto a vivere sotto il palco, dal momento che il sosia non è all’altezza di un eventuale scambio di ruoli. Questo primo sacrificio lo distrugge e comincia a covare l’ossessione di scoprire i metodi di Alfred: “il pubblico è entusiasta ora con la versione di Cutter, ma immagina cosa sarebbe con la vera illusione. Avremmo il più grande numero di magia che il mondo abbia mai visto”.
Non pensa ad altro e non riesce a godersi il piacere del successo. Considera il fatto che “Non interessa l’uomo che sparisce, che va nella botola, a tutti interessa l’uomo che viene fuori dall’altro lato” e non trova altra soluzione se non attuare un altro furto – questa volta il diario cifrato dei segreti di Alfred – ciecamente auto-convinto che nascondano una realtà ai confini della magia. In fondo Robert crede a ciò che vuole credere e ormai la voragine dell’ossessione ha risucchiato anche l’ultimo baluardo della sua umanità, cicatrizzando la ferita che aveva continuato a tenere aperta dalla morte della moglie.
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